Riflessioni sullo Ius Culturae
E’ stato slittato a questo autunno l’ iter di approvazione della legge sullo ius culturae (o ius soli temperato). Tante le riflessioni in merito, tante le battaglie mediatiche e politiche che hanno strumentalizzato la situazione.
In breve, la nuova legge introduce soprattutto due nuovi criteri per ottenere la cittadinanza prima dei 18 anni: si chiamano ius soli (“diritto legato al territorio”) temperato e ius culturae (“diritto legato all’istruzione”). Lo ius soli puro prevede che chi nasce nel territorio di un certo stato ottenga automaticamente la cittadinanza: ad oggi è valido ad esempio negli Stati Uniti, ma non è previsto in nessuno stato dell’Unione Europea. Lo ius soli “temperato”presente nella legge presentata al Senato prevede invece che un bambino nato in Italia diventi automaticamente italiano se almeno uno dei due genitori si trova legalmente in Italia da almeno 5 anni. Se il genitore in possesso di permesso di soggiorno non proviene dall’Unione Europea, deve aderire ad altri tre parametri:
– deve avere un reddito non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale; – deve disporre di un alloggio che risponda ai requisiti di idoneità previsti dalla legge; – deve superare un test di conoscenza della lingua italiana.
L’altra strada per ottenere la cittadinanza è quella del cosiddetto ius culturae, e passa attraverso il sistema scolastico italiano. Potranno chiedere la cittadinanza italiana i minori stranieri nati in Italia o arrivati entro i 12 anni che abbiano frequentato le scuole italiane per almeno cinque anni e superato almeno un ciclo scolastico (cioè le scuole elementari o medie). I ragazzi nati all’estero ma che arrivano in Italia fra i 12 e i 18 anni potranno ottenere la cittadinanza dopo aver abitato in Italia per almeno sei anni e avere superato un ciclo scolastico.
Riportiamo di seguito la riflessione di Marco Tarquinio, pubblicata su Avvenire, il 17 luglio 2017:
Ius culturae / Le giuste regole del domani comune. Questa legge s’ha da fare
“Non è affatto una bella notizia, anzi è una notizia che riempie di tristezza, l’incapacità dichiarata del Parlamento della Repubblica di completare prima della cosiddetta “pausa estiva” l’iter della legge sullo ius culturae (o ius soli temperato). È il risultato amaro della propaganda meschina e a tratti odiosa che nei mesi scorsi è stata scatenata sul piano politico e mediatico contro una normativa che rappresenta il sano e ragionevole strumento con cui finalmente si sta arrivando a segnare in modo certo, sensato e civile la via alla cittadinanza dei “nuovi italiani”. Di persone cioè che – secondo il testo già varato dalla Camera e all’esame del Senato – sono nate in Italia e/o qui stanno studiando, che parlano la nostra lingua, che hanno anche i nostri costumi e i cui genitori, residenti nel nostro Paese da tempo, non hanno commesso reati, qui lavorano e qui pagano contributi e tasse.
Se ne parla come di un semplice rinvio all’autunno, deciso per varare la legge in un momento più propizio e meno “rovente” (sia dal punto di vista meteorologico, sia politico e polemico). Un mero slittamento tattico, concordato da Partito democratico (che spinge per il “sì”) e Alternativa popolare (che appare divisa, alla faccia della sua rivendicata indole moderata e ispirazione cristiana, tra un mediocre “nì” e un cinico “no”) motivato dalla preoccupazione di «non mettere a rischio la tenuta» dell’esecutivo guidato da Paolo Gentiloni. Mah… Se fosse davvero e solo così, poco male. Non saremo certamente noi a menare scandalo se, per non far cadere inopinatamente il Governo in carica, i signori dei partiti e del Parlamento si dovessero prendere appena qualche settimana di riflessione in più per definire meglio una legge attesa da tanto e ormai più che matura.
Per il resto, facciamo parlare i bambini, soggetti principali di questa legge, e vittime di questa strumentalizzazione.